FAUSTUS

Un Faust che non ha nulla a che vedere con Goethe, ma risale alle origini e plana sulla letteratura dei secoli appena passati. Un Faust moderno, non moderno, postmoderno, inattuale, vivo di replica in replica, di ritmo in ritmo, scostante ed accogliente. M.M.
Sala Diana | In programmazione: 03/02/2017 - 04/02/2017

“Faustus” di Max Manfredi condensa, e finalmente realizza, un lavoro almeno trentennale di ricerca e di scrittura, del tutto solitario, finora, e quasi segreto, dell’autore;  integrando (ed anche disintegrando) i testi di Marlowe e dell’edizione tedesca  di Spies (uno dei primi libri stampati in Europa) con una partitura elastica fatta di suoni,  di musiche rigorosamente non originali (dalla tradizione rinascimentale. a Bach e Fauré,  a Roberta Flack e Silvia Salemi), di versi poetici, di calembour teatrali,  di luci povere-ma-belle.

Il tema di Faustus viene ridotto al minimo, cioè alla lettura scenica del testo  marlowiano, purgato degli intermezzi  spuri e comici, ridotto a un dialogo fra l’uomo – che non veleva essere un uomo – e il dèmone – che non vorrebbe essere un dèmone    (con figure disturbanti), che in certo modo ricorda il teatro dell’assurdo, ma soprattutto non fa che sottolineare e ribadire l’assurdo del teatro, e la sua necessità intransitiva e musicale  (“non fui io a (…) fare musica col mio Mefistofele”)?

Anche un omaggio ruvido, accorato, smaliziato, al dèmone  (diavolo o daimon che sia )  inteso come “malattia infantile” – o almeno adolescenziale –  del percorso artistico.

Faustus, Mefistofele, Elena, Old Man – il vecchio di buona volontà che cerca di convertire Faustus (come si converte un linguaggio in un altro) , più  un Wagner (il nome dell’allievo di Faustus in Marlowe) moltiplicato almeno per tre, a “far funzione” di scolari, dèmoni, paradiso e tutto quel che ci vuole e manca. Ecco i caratteri grafici, ecco le figure della scena.

 

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