La vicenda di Edipo è una di quelle che tutti conoscono anche se in qualche modo la divulgazione del mito che seguì a Freud, ha forse troppo semplificato rischiando di banalizzare “uomo uccide padre e sposa madre, poi si acceca”. E’ un mito e in quanto tale, universale, capace di parlare di temi che sempre sono e saranno: è una complessa storia d’amore nel senso più ampio, è una storia di Potere giocato sulle ambizioni e gli scontri, ma anche sull’ingenuità; una storia di innocenza e colpevolezza, di menzogna e verità che si contrappongono, in cui il confine fra la realtà di cui si è convinti e la realtà effettiva è molto labile, in cui l’ineluttabilità del Fato gioca un ruolo preponderante, come in genere nella tragedia. La storia parte da quando i fatti precipitano ed è un continuo svelamento della realtà creduta, ma non vera e di fatti saputi e rimossi che i personaggi, ognuno da par suo, affrontano o non riescono ad affrontare.
La regia di Maria Grazia Tirasso punta sull’adesione fisica ed emozionale degli interpreti e colloca l’azione entro una specie di “trincea”, uno spazio delimitato e chiuso, come chiuso è lo spazio esistenziale della storia in cui i vari personaggi vivono con forza i propri dolori, le passioni, gli scontri. Edipo (Fabio Fabbri) è una sorta di adolescente mai davvero cresciuto, passionale, impulsivo, decisionista, che si infiamma facilmente e altrettanto facilmente dirige le sue emozioni all’estremo: nell’esercizio del potere, nel rapporto con Creonte (Piero Guarino), l’amico che non esita a sospettare di tradimento, nello scontro con l’indovino Tiresia (Francesco Nardi) di cui patisce l’ostentata e fredda superiorità, vacillando però di fronte al vaticinio. Unico porto sicuro per lui è il sostegno di Giocasta (Giovanna Vallebona), sempre accogliente e sollecita. La rivelazione che gradualmente porta alla tragedia sarà per entrambi insopportabile e fatale.
L’adattamento di Guarino, fedele all’originale tragedia di Sofocle, opera alcuni tagli riducendo all’essenziale la vicenda optando per una traduzione in prosa e svecchiando appena la lingua e lo stile, resi più comunicativi ed efficaci. Particolarità del testo e dell’allestimento la presenza di un personaggio sui generis, il Coro (Sabrina Rao) che affianca i personaggi, quasi come un loro doppio nel quale si riflettono diversi aspetti delle loro personalità, a tratti invece è la voce del popolo che subisce, si ribella e assiste all’evoluzione dei fatti. In scena anche Alessia Vergine (una Donna da Corinto) e Massimo Lustig (un pastore, già servo di Laio).
I momenti salienti sono sottolineati da particolari interventi musicali di pianoforte che ribadiscono la forza della tragedia e la sua essenziale immediatezza. I costumi di Mariangela Bragoni, uniformano i personaggi ad una sorta di appartenenza terrigna, e distinguono con pochi tratti i diversi ruoli.