E poi, la notte – storia di Edipo

Una storia di menzogna e verità che si contrappongono, in cui il confine fra la realtà che si vuole vedere e la realtà effettiva è davvero molto labile.
Sala Diana | In programmazione: 08/11/2014 - 09/11/2014

La vicenda di Edipo è una di quelle che tutti conoscono anche se in qualche modo la divulgazione del mito che seguì a Freud,  ha forse troppo semplificato rischiando di banalizzare  “uomo uccide padre e sposa madre, poi si acceca”.   E’ un mito e in quanto tale, universale, capace di parlare di temi che sempre sono e saranno: è una complessa storia d’amore nel senso più ampio, è una storia di Potere giocato sulle ambizioni e gli scontri, ma anche sull’ingenuità; una storia di innocenza e colpevolezza, di menzogna e verità che si contrappongono, in cui il confine fra la realtà di cui si è convinti e la realtà effettiva è molto labile, in cui l’ineluttabilità del Fato gioca un ruolo preponderante, come in genere nella tragedia. La storia parte da quando i fatti precipitano ed è un continuo svelamento della realtà creduta, ma non vera e di fatti saputi e rimossi che i personaggi, ognuno da par suo, affrontano o non riescono ad affrontare.

La regia di  Maria Grazia Tirasso punta sull’adesione  fisica ed emozionale degli interpreti e colloca l’azione entro una specie di “trincea”, uno spazio delimitato e chiuso, come chiuso è lo spazio esistenziale della storia in cui i vari personaggi vivono con forza i propri dolori, le passioni, gli scontri.  Edipo (Fabio Fabbri) è una sorta di adolescente mai davvero cresciuto, passionale, impulsivo, decisionista,  che si infiamma facilmente e altrettanto facilmente dirige le sue emozioni all’estremo:  nell’esercizio del potere, nel rapporto con Creonte (Piero Guarino), l’amico che non esita a sospettare di tradimento, nello scontro con l’indovino Tiresia (Francesco Nardi) di cui patisce l’ostentata e fredda superiorità, vacillando però di fronte al vaticinio. Unico porto sicuro per lui è il sostegno di Giocasta (Giovanna Vallebona), sempre accogliente e sollecita. La rivelazione che gradualmente porta alla tragedia sarà per entrambi insopportabile e fatale.

L’adattamento di Guarino, fedele all’originale tragedia di Sofocle, opera alcuni tagli  riducendo all’essenziale la vicenda optando per una traduzione in prosa e svecchiando appena la lingua e lo stile, resi più  comunicativi ed efficaci. Particolarità del testo e dell’allestimento la presenza di un personaggio sui generis, il Coro (Sabrina Rao) che affianca i personaggi, quasi come un loro doppio nel quale si riflettono diversi aspetti delle loro personalità, a tratti invece è la voce del popolo che subisce, si ribella e assiste all’evoluzione dei fatti. In scena anche Alessia Vergine (una Donna da Corinto) e  Massimo Lustig (un pastore, già servo di Laio).

I momenti salienti sono sottolineati da particolari interventi musicali di pianoforte  che ribadiscono la forza della tragedia e la sua essenziale immediatezza. I costumi di Mariangela Bragoni, uniformano i personaggi ad una sorta di appartenenza terrigna, e distinguono con pochi tratti i diversi ruoli.

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