Un albero con appallottolata contro una macchina, e la stradale che non vede l’ora di farla portare via. Un ragazzo sotto shock che parla a raffica, ma non dice niente. Un fosso con dentro un corpo che aspetta il medico legale. Ragazza bianca morta nuda in un fosso. Da un fattaccio di cronaca prende il via l’avvincente thriller di Fausto Paravidino: un occhio alle pagine dei giornali e l’altro a certi classici del cinema poliziesco. Un maledetto imbroglio per il poliziotto chiamato a risolverlo, ma anche per tutti quelli che vi sono invischiati: i balordi che spacciano, le prostitute sulla tangenziale, i genitori della vittima, gli inquirenti, i testimoni. La sfida di Paravidino è raccontare questa storia con la tecnica del monologo, anzi, dei monologhi, uno per ciascuno dei 6 personaggi implicati: il giovane bullo ubriaco che esce di strada e trova il cadavere, la madre della vittima, il suo ragazzo, un ispettore di polizia, un puscher, e una puttana straniera, tutti interpretati da due attori.
I personaggi non dialogano tra loro ma intervengono in successione, uno dopo e l’altro, anche più volte imprimendo una serie di svolte a un’azione che rimbalza avanti e indietro, e conduce l’inchiesta a spaziare attraverso più ambienti della stessa periferia metropolitana, con apparizioni alternate e con l’adozione di un parlato frammentato da radiocronaca.
Lo spettacolo non è unicamente un “noir” dal meccanismo perfetto, ma la denuncia, benché insofferente ai facili moralismi e ai toni da predica, della superficialità che domina la società e che coinvolge tanto i rapporti personali anche più stretti – quelli fra genitori e figli – quanto la visione comunemente accettata di quella stessa realtà. Il testo procede sistematico come un’indagine scientifica e non indulge mai a particolari patetici capaci di favorire una facile commozione.